Mondiali di Calcio del Qatar: di cos’è fatta una vittoria?

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I mondiali di calcio sono ormai alle porte. Si svolgeranno infatti a partire dal 20 novembre, quando il Qatar sfiderà Ecuador, protraendosi sino al 18 dicembre, giorno in cui sarà disputata la finale della kermesse.A prescindere dalla squadra vincente, la Coppa del Mondo non sarà però una vera festa per lo sport più popolare del mondo. A impedire che lo sia è la lunga scia di sangue che ha caratterizzato i lavori di preparazione.

Ogni stadio in cui saranno impegnate le squadre che sono riuscite a strappare il pass per la rassegna è stato infatti teatro di una vera e propria ecatombe di lavoratori. Tanto da caratterizzare la discussione nell’opinione pubblica più delle varie liste dei convocati o sulla formazione di ogni gruppo teso a capire come si potrebbe dipanare il calendario dopo la fase a gironi. Se il Qatar pensava di uscire vincente in termini di reputazione, la realtà sarà alla fine molto diversa. Anche noi di Migliori Casinò Online, almeno stavolta, abbiamo voluto tralasciare le semplici questioni agonistiche in modo da affrontare un tema sociale che riteniamo assolutamente fondamentale.

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I mondiali del 2023 si basano sullo sfruttamento

Se si pensava che nei giorni precedenti ai Mondiali di calcio si sarebbe discusso come al solito delle squadre più attrezzate per arrivare alla finale del o, prevista per il 18 dicembre nello stadio di Doha, purtroppo la realtà è molto diversa. Più che su rose, favorite di ogni girone e possibilità di Brasile, Francia, Argentina, Spagna e Germania, le più accreditate della vigilia, l’attenzione dei tifosi è stata intercettata da una questione del tutto diversa.

Basta infatti dare uno sguardo al dato pubblicato dal Guardian ancora prima che terminassero i lavori, per capire meglio: oltre 6500 morti, nel corso degli stessi. Un numero che è purtroppo sottostimato, mancando del dato di Paesi come Filippine e Kenya, che pure vedono un elevatissimo numero di lavoratori operanti nel Golfo.

Decessi dovuti alla situazione di sfruttamento e alla mancanza di misure di sicurezza adeguate tali da suscitare lo sdegno dell’opinione pubblica. Basti pensare in tal senso che i lavoratori sono stati costretti a turni di 12 ore consecutive senza potersi mai assentare e a vivere in baracche fatiscenti di pochi metri quadrati.

Cui si sono aggiunte temperature proibitive, come rivelato da un rapporto delle Nazioni Unite, tali da contribuire largamente alla carneficina. Se alla fine lo stadio di Doha e gli altri impianti delegati a ospitare la Coppa del Mondo di calcio sono stati costruiti, il prezzo pagato dai lavoratori, in gran parte immigrati, è stato quindi talmente pesante da lasciare l’amaro in bocca a un gran numero di tifosi. Tanto che anche nel corso degli ultimi giorni si registrano inviti a boicottare la visione di ogni gara prevista a novembre e dicembre.

L’inchiesta del Guardian

Come abbiamo ricordato in precedenza, a far scoppiare lo scandalo è stato soprattutto un’inchiesta del Guardian. Il giornale inglese è voluto andare oltre le questioni riguardanti i convocati delle squadre o l’indicazione di portieri, centrocampisti e attaccanti più forti, che sono di norma il tema delle giornate che precedono lo svolgimento delle grandi competizioni di calcio.

Nel farlo ha però scoperto ben presto una realtà terribile. Già nel 2023, ovvero due anni prima che le squadre di Germania. Inghilterra, Argentina, Germania, Spagna, Brasile, Messico, Corea del Sud, Australia, Giappone, Serbia, Stati Uniti e tutte quelle che hanno acquisito il diritto di partecipare alla fase finale dei mondiali di calcio, arrivassero sul posto, erano deceduti oltre 6500 lavoratori.

Un contributo di sangue cui hanno partecipato in particolare:

  • India (2711 vittime)
  • Nepal (1641)
  • Bangladesh (1018)
  • Pakistan (824)
  • Sri Lanka (557).

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I dati in questione sono stati rilasciati dal Supreme Court of Health (Qatar), dalle ambasciate di India e Nepal, oltre che da altri istituti. Già in precedenza, però, si erano levate denunce sull’autentica mattanza che stava avvenendo a Doha e dintorni.

A rendere ancora più grave il quadro fornito ha peraltro contribuito il sostanziale disprezzo riservato alle denunce dal governo locale. A sottolinearlo è stato in particolare Hiba Zayadin, incaricato delle ricerche nel Golfo per Human Right Watch. Un disprezzo testimoniato anche e soprattutto dal tentativo di celare la realtà da parte del governo del Qatar. La maggior parte di questi decessi, infatti, è stato derubricato a morte per cause naturali. Di fronte ad una realtà di questo genere, anche per chi è appassionato di scommesse sportive è diventato impossibile far finta di nulla.

La posizione del Qatar in merito alle accuse

Come già ricordato, il governo del Qatar ha mostrato sin dal primo momento un sostanziale disinteresse per quanto stava accadendo nel corso dei lavori per il mondiale di calcio. Dopo aver cercato di attribuire le morti a cause naturali, soltanto nel 2023 ha dato un piccolo segnale all’opinione pubblica mondiale, approvando una riforma del mercato del lavoro, volta a migliorare le condizioni dei lavoratori immigrati. Per capirne la portata basterà ricordare che il salario minimo previsto al suo interno ammonta a mille riyal (circa 230 euro). A fronte di questo dato diventano inutili ulteriori commenti.

Del resto, i Paesi dell’area non sono mai stati un esempio in tema di diritti del lavoro e gli eventi in questione non fanno che confermare l’assunto. Basti pensare in tal senso che nell’area è in vigore un sistema, la “kafala”, che favorisce l’arrivo in loco di lavoratori da altri Paesi, per poi impedire di trasferirsi in aziende che pagano meglio e assicurano condizioni di lavoro migliori.
In pratica stiamo parlando di un sistema semi-schiavistico, in cui i lavoratori non hanno alcun genere di diritto. Cui hanno rinunciato in partenza, decidendo di consegnare una quota al datore di lavoro e, soprattutto, il suo passaporto.

Un sistema che peraltro era già ampiamente conosciuto e che la famiglia Al Thani, in pratica padrona del Paese, pensava di far dimenticare con quella che, a tutti gli effetti, si è configurata come un perfetto esempio di sportwashing. Ovvero una strategia di pubbliche relazioni tesa a sfruttare eventi come il mondiale per accreditare un’immagine diversa, in tema di diritti umani. A ricordare tutto ciò è stato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International nel nostro Paese, nel suo libro “Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento”.

Brewdog: la campagna pubblicitaria contro la Fifa

Di fronte all’enormità delle cifre relative alla mortalità tra i lavoratori impegnati nella costruzione degli stati che ospiteranno la Coppa del Mondo di calcio, l’opinione pubblica mondiale ha infine dovuto interrogarsi su quanto accaduto. Interrogativi che riguardano non solo i tifosi di Inghilterra, Germania, Spagna, Argentina e degli altri Paesi che prenderanno parte alla kermesse in Qatar, ma chiunque ami il calcio.

Anche in questo caso, però, si sono dovute registrare polemiche di non poco conto. Come quella che ha interessato Brewdog, un produttore di birra artigianale operante in Inghilterra. L’azienda, infatti ha pensato bene di cavalcare l’onda presentandosi come anti-sponsor della fase finale della Coppa del Mondo.

Una strumentalizzazione che è però ben presto stata subissata di critiche. Brewdog, infatti, vende birra in Qatar, nonostante ne critichi l’assenza di diritti civili e la condotta durante i lavori per i mondiali di calcio. Un’operazione che sembrava vincente, in termini pubblicitari, si è alla fine rivelata una sorta di Caporetto mediatica, per l’azienda britannica.

La controversia dei mondiali in Qatar

Di fronte alle polemiche che stanno caratterizzando l’attesa per i mondiali, per molti è stato impossibile continuare a voltare il capo dall’altra parte. In tal senso è da sottolineare il tardivo ravvedimento di Sepp Blatter, l’ex presidente della FIFA in carica al momento dell’assegnazione della rassegna al Qatar. Proprio in questi giorni anche lui ha scoperto che il piccolo Paese del Golfo non ha i requisiti per poter ospitare una manifestazione di questo genere. Le lacune da lui indicate, però, erano già ampiamente note nel 2010, quando avvenne l’assegnazione.

Lo stesso Blatter, peraltro, nell’intervista rilasciata al Tage-Anzeiger, non esita a ricordare il clima di dilagante corruzione in cui avvenne la decisione finale. Una scena da basso impero, che vide tra i grandi protagonisti, sempre secondo l’ex numero uno della FIFA, l’ex presidente della Francia Nicholas Sarkozy. Proprio lui, infatti, spinse con grande forza in quelle ore affinché il verdetto finale premiasse il Qatar. In cambio la stessa Francia avrebbe ottenuto:

  • L’acquisizione del Paris Saint Germain da parte dell’attuale proprietà, ovvero l’emiro del Qatar.
  • Una commessa di jet da combattimento da parte del governo di Doha, per un valore di 14,6 miliardi di euro.

A testimoniare il quadro di corruzione che ha infine premiato il piccolo Paese del Golfo c’è anche un altro dato, stavolta inoppugnabile: la stragrande maggioranza di coloro che lo hanno scelto sono stati arrestati o banditi dalla FIFA. Intanto, però, il danno era fatto, come ricordato da Nick McGreehan, direttore di FairSquare Project. Secondo lui, soltanto il fatto di aver scelto il Qatar ha originato le condizioni per le morti in oggetto. Per chi vorrebbe concentrare la propria attenzione sulle partite del mondiale di calcio, o pensare di seguirle in diretta sulla RAI, è praticamente impossibile poterlo fare.

Diversi problemi per l’organizzazione

L’ecatombe di lavoratori che ha preceduto le partite la fase finale dei mondiali di calcio non poteva naturalmente restare sotto silenzio a lungo, soprattutto dopo la denuncia del Guardian. Con l’approssimarsi della manifestazione delle partite in calendario si è parlato sempre meno e sono emerse contrarietà in serie da parte di un’opinione pubblica che pure non aveva brillato per la sua presenza negli anni precedenti.

Il tema relativo alle condizioni di lavoro che hanno preparato la tragedia si è poi andato a mischiare ad un altro tema molto sentito dall’opinione pubblica globale, quello dei diritti civili. Sotto accusa, in particolare, la politica di Doha in merito all’omosessualità, bandita nel Paese e trattata a livello giudiziario con inusitata durezza. Anche in questo caso il governo del Qatar ha proseguito dritto per la propria strada, con dichiarazioni del tutto fuori luogo. Dichiarazioni come quelle dell’ambasciatore dei mondiali, Khalid Salman, secondo cui l’omosessualità in Qatar è considerata un disagio mentale.

A poco a poco, la protesta ha assunto toni sempre più duri e una consistenza di massa. Tanto da spingere la cantante Dua Lipa, nata in Inghilterra da migranti kosovari, a smentire la sua partecipazione alla cerimonia di apertura. Aggiungendo che si esibirà in Qatar solo quando i diritti umani saranno rispettati.

Anche un’altra icona del rock, Rod Stewart, ha a sua volta deciso di dare luogo ad un gesto forte. Lo ha fatto rifiutando oltre un milione di dollari per esibirsi in un concerto prima della Coppa del Mondo. Non è escluso che a loro possano unirsi nelle prossime ore altri artisti, in particolare quelli che sono da sempre considerati vicini alle istanze delle comunità gay.

Cosa dicono le squadre che prenderanno parte ai mondiali?

Anche gli atleti hanno però deciso di non poter restare del tutto a guardare. I componenti dell’Australia, in particolare, hanno pubblicato un video all’interno quale i Socceroos hanno chiesto la liberalizzazione delle relazioni omosessuali e un cambio di rotta in tema di diritti civili. La Danimarca, a sua volta, si è trovata di fronte alla decisione di Hummel, il produttore del suo materiale tecnico. L’azienda, infatti, ha saggiamente deciso di non associare il proprio marchio a una competizione bagnata dal sangue di migliaia di lavoratori, tenuta in un Paese i cui standard democratici sono praticamente inesistenti, o quasi.

La FIFA ha cercato di frenare la serie di proteste da parte degli atleti, chiedendo loro di concentrarsi sul calcio giocato e sulle partite, ma il suo atteggiamento ha avuto l’effetto esattamente contrario. In particolare, un gruppo di federazioni europee, quelle di Inghilterra, Germania, Belgio, Svizzera, Svezia, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Portogallo e Galles, hanno risposto affermando la propria intenzione di continuare a battersi sui diritti umani.

Già nel 2021, peraltro, i giocatori della nazionale norvegese avevano esternato tutto il proprio malumore per la scelta del Qatar come Paese ospitante. Nel corso di una delle partite della fase di qualificazioni, quella vinta nel proprio girone contro Gibilterra per 3-0, Haaland e compagni avevano presentato una maglietta recante una scritta per il rispetto dei diritti umani.

Anche i tifosi delle squadre di club hanno iniziato a mobilitarsi con il trascorrere delle ore. Com’è accaduto in uno dei luoghi più iconici a livello globale, la Curva Sud dello Stadio Olimpico di Roma, ove i tifosi giallorossi hanno issato uno striscione in cui si definiscono i prossimi mondiali di calcio alla stregua di una vera vergogna. In questo caso è stato soltanto l’ultimo esempio di una marea ormai montante, di fronte alla quale sarà difficile per la FIFA continuare a far finta di nulla. Basti pensare in tal senso ai risultati di un sondaggio condotto di recente da Amnesty International, che ha visto il 73% degli intervistati dichiararsi favorevole ad un risarcimento nei confronti dei migranti che hanno partecipato ai lavori per la realizzazione degli stadi.

Se gli organizzatori del mondiale di calcio hanno dichiarato che in Qatar si farà la storia, non è però detto che il finale sia da sogno. Anzi, secondo molti si tratterebbe di un vero e proprio incubo, per lo sport più amato proprio dalle classi lavoratrici di ogni parte del mondo. Per la prima volta più che di grandi parate dei portieri o delle prodezze degli attaccanti nella memoria di molti tifosi resteranno le troppo morti della vigilia. In queste condizioni sembra impossibile parlare di una vittoria, per il calcio.

Luca Liberi
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Luca Liberi
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